La spada di dolore nelle mani di San Giuseppe

La spada di dolore nelle mani di San Giuseppe

news1690“Alzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e rimani lì finché non ti avvertirò; poiché Erode cercherà il Bambino per farlo morire”(Mt 2, 13). Questo messaggio dell’angelo, nel cuore della notte, diversi mesi dopo la nascita di Gesù Bambino, fu un grande tormento per San Giuseppe.

Questa notizia pose fine alle gioie del Natale e divenne l’inizio del compimento della profezia di Simeone: “Egli (il bambino) è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione 35 perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35).

Maria, vittima pura, non poteva, come Cristo stesso, immolarsi, sacrificarsi da sola. Avevano bisogno di un prete, qualcuno che li mandasse, per così dire, alla morte. Il Padre, che mandò il suo unico Figlio ad essere sacrificato, mandò Giuseppe a trafiggere il Cuore di Maria con questa dura notizia. È così che inizia una lunga serie di sofferenze. San Giuseppe sapeva cosa stava facendo quando svegliò Maria e il suo bambino. Poteva già immaginare il dolore agonizzante della spada che avrebbe dovuto piantare nel suo Cuore Immacolato. San Giuseppe non poteva fare diversamente perché Dio gli aveva comandato così, con la voce dell’angelo. Anche il tempo stava per scadere perché gli uomini di Erode sarebbero partiti all’alba.

Il dolore e la sofferenza di un lungo viaggio hanno spianato la strada alle innumerevoli difficoltà di vivere e lavorare in un paese straniero. La spada con cui Giuseppe aveva trapassato il Cuore di Maria gli tornava indietro attraverso tutti queste innumerevoli pene. La difficoltà di provvedere alla moglie e al figlio era un dolore quotidiano per lui. Le sofferenze che sopportarono perché erano fuori dalla terra d’Israele pesavano anche sulle loro anime così pure e sensibili. Fu questa un’ulteriore sofferenza per San Giuseppe. Ha davvero sofferto in compagnia di Gesù e Maria e ha sopportato i propri dolori con loro. Sapeva chi stava servendo e questo servizio, sebbene colmo di grande sofferenza, era anche fonte di gioia e pace.

Così deve essere per noi. Compagni di Gesù e Maria, anche noi piantiamo questa spada di dolore nei loro cuori, non per l’adempimento di una profezia, ma per i nostri peccati e negligenze. Invece di lamentarci dei nostri fastidi, dovremmo considerarci fortunati di condividere con Gesù e Maria le sofferenze di questa terra, i rifiuti di cui erano l’oggetto, i peccati e le indifferenze che incontrarono.

Per imitare San Giuseppe, condividiamo volontariamente queste sofferenze che sono di tre tipi:

1) Molte sono le sofferenze ci vengono dalle persone a noi vicine. Non lamentiamoci e portiamo questo peso volontariamente.

2) Le sofferenze ci vengono anche dai nostri peccati e cadute. Non stupiamoci, ma portiamole, sapendo che è con la pazienza che salveremo le nostre anime.

3) Gli interessi e i desideri di Dio devono essere i nostri e Dio vuole la salvezza e la santificazione di tutti. Perciò, prendiamo conoscenza dei peccati del mondo e portiamoli in una fruttuosa e rigenerante preghiera per la salvezza delle anime.

San Giuseppe, silenzioso testimone delle sofferenze di Gesù e Maria, prega per noi. E noi poveri peccatori, non smettiamo di esclamare: Ave Maria!

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